a.c.a.b. di Stefano Sollima

                                                   CELERINO, FIGLIO DI PUTTANA

                                                                 Voto: *** (Italia-2011)

Cobra (Pierfrancesco Favino), Negro (Filippo Nigro) e Mazinga (Marco Giallini) sono poliziotti della Mobile d’ Ordine di Roma, dei celerini. Per intenderci, quelle guardie con caschi, scudi, manganelli che , fuori dagli stadi , piuttosto che nelle manifestazioni di piazza, hanno il dovere di mantenere l’ ordine sociale, limitando scontri e disagi collettivi, con ogni mezzo a loro disposizione. In sostanza la polizia da strada, il braccio violento della legalità. Tre uomini, tre fratelli, che si coprono le spalle a vicenda negli scontri come nella vita, tra difficoltà famigliari, economiche, lavorative, sul proscenio di un’ Italia piccolo borghese e misera, lungo le facciate scrostate di una Roma che perde la sua eternità storica e solennità, mantenendo solamente il suo carattere decadente e periferico , una metropoli provinciale, d’ afflato post borgataro, tra vie oscure, in cui ci si può fare largo solo con la forza. Ai tre moderni “gladiatori” da strada si affianca un ragazzo, Adriano (Domenico Diele), un novellino, un coatto romano che farà emergere le contraddizioni e i limiti stessi della sua squadra.

 

Un film di complessa realizzazione quello di Stefano Sollima, una pellicola che offre uno spaccato di realtà, che riflette sulla condizione di un lavoro umile e frustrante, spesso poco compreso e sconosciuto che viene veicolato lungo il film, divenendo paradigma popolare di una situazione politico sociale generale e diffusa, tuttavia non riuscendo a parlarne in modo efficace. E uno dei limiti di questo film è proprio questo, un limite sceneggiativo. Lungo l’ intreccio, dialogicamente, si mette molta carne al fuoco, molte idee e posizioni, anche legate a fatti di cronaca nera reale, legata ai celerini, si alternano ma non sempre vengono sviluppate e quasi mai raggiungono una conclusione netta, lasciando molta libertà interpretativa allo spettatore. Caratteristica che, da un certo punto di vista, può essere anche un pregio strutturale ma non quando possibili giudizi vengono alternati ad altri, senza decisione, senza perentorietà e soprattutto non quando i fatti sono così vicini a noi, e così attuali. Una tendenza che si rivela troppo politically correct e in antitasi con una sceneggiatura che dovrebbe essere sviluppata in modo contrario per la portata politica della storia. Si tratta tuttavia di un “falso” limite, in quanto il film offre uno spaccato genuino e onesto sulla condizione di una categoria, senza peli sulla lingua, anche se in alcuni casi poteva prendere posizioni più decise. Inoltre non dimentichiamoci che siamo di fronte ad una sceneggiatura non originale, tratta da dall’ omonimo romanzo di Carlo Bonini e ciò può rispondere alle questioni precedenti; quindi un film che vuole offrire un quadro veritè, senza arrovellarsi in giudizi o posizioni che prevarichino troppo l’ intreccio. Una sceneggiatura, tratta da un romanzo, che viene scremato e trasportato in pellicola, potendo risultare imcompleto, lacunoso e perdere l’ efficacia della propria trattazione.

Siamo di fronte comunque ad un film molto ben girato da un interessante regista emergente, Stefano Sollima, già conosciuto per la buona direzione della fortunata serie Tv di “Romanzo Criminale”. La scenografia è ben gestita e offre un quadro di confine metropolitano in cui lo stadio sembra un anfiteatro mostruoso, davanti al quale si consumerà la lotta, ripresa con atavica intensità. La cinepresa ne è l’ anima e il suo magistrale utilizzo, spesso a mano, rende l’ inquadratura (per la maggior parte delle riprese semisoggettiva) sporca e molto vicina ai personaggi, ripresi per lo più in piani ravvicinati, realizzando un continuum con l’ intreccio e i ruoli medesimi dei protagonisti. La suspance è molto ben curata e vivace, ossessiva, in particolare quando ci si avvicina la finale. Il racconto particolare dei personaggi è equilibrato, nessuno ha più spazio di altri e i vari drammi della vita di ognuno confluiscono collettivamente nel dramma generale. Il cast è strepitoso e risulta decisivo nell’ economia ultima del film, in particolare grazie alla figura di Pierfrancesco Favino, un attore grandioso, che recita con la forza scenica di un primattore teatrale, che buca l’ obbiettivo con uno sguardo, con un movimento, un gesto. Questa interpretazione mostra il suo enorme talento e il suo costante studio.

Guardiamo fra i nostri confini. Questo è l’ unico modo per valorizzare la nostra Arte.