SHAKESPEARE E TEATRO A REBIBBIA
voto:*** e mezzo (Italia-2011)
Con l’ ultima scena della morte autoinflitta di Bruto dopo la congiura romana delle Idi di Marzo, si chiude con successo la rappresentazione teatrale del “Giulio Cesare” di Shakespeare nel teatro del carcere di massima sicurezza di Rebibbia . Dopo di che gli attori-detenuti tornano come ogni giorno in una cella desolata e spoglia, diventata ancora più angusta dopo lo stretto contatto con l’ arte, che in quel periodo li ha aiutati a sopportare la prigionia. Un flashforward che anticipa l’ inizio cronologico della trama, avvenuto sei mesi prima, quando il direttore del carcere espone ai detenuti il progetto ricreativo teatrale. Ne seguiranno provini, definizione dei personaggi , prove di scena e di dialoghi continue e snervanti ma anche stimolanti ed appassionanti, non senza la sofferenza della detenzione, che sembra però assopirsi con questa dichiarativa esperienza artistica da parte di cinque attori carcerati: Cosimo Rega (Cassio), Salvatore Striano (Bruto), Giovanni Arcuri (Cesare), Antonio Frasca (Marcantonio), Juan Dario Bonetti (Decio) e Vincenzo Gallo (Lucio).
Con un cast di non professionisti e di detenuti reali del carcere romano, Paolo e Vittorio Taviani realizzano un’ opera epica di grandissimo livello formale ed estetico. Confondendosi in un ambiente comunemente sconosciuto come il carcere, i cineasti producono una pellicola di forte impatto espressivo che va ad indagare il sentimento umano e intimo dei soggetti carcerati, che tramite un copione teatrale esprimono tutta la loro complessità interiore, frustrazione emotiva e coscienza psicologica anche grazie a dei dialoghi che, rispetto all’ opera originale, vengono tradotti in una lingua provinciale, di inclinazione dialettale (linguaggio che cambia a seconda delle origini di ognuno dei personaggi) , che dona una spontaneità ed un realismo pirandelliano all’ opera shakespeariana da una parte e un verismo popolare di enorme umanità e solennità emozionale dall’ altra. Il perfezionismo e l’ esperienza cinematografica dei fratelli Taviani si percepisce in ogni singola inquadratura, nel più impercettibile movimento scenografico e risente del genere documentario nella sua integrità ed onesta narrativa. Sensibilità che in questo caso veste anche i panni sociologici dell’ indagine pura della realtà in un carcere di massima sicurezza. Malgrado l’ età artistica e anagrafica degli autori, l’ opera risulta di un’ attualità sorprendente e molto comunicativa e volitiva nel suo incedere sicuro ma ordinato, senza sbavature. Gli attori sembrano assolutamente dei professionisti e quasi mai risentono dell’ inesperienza recitativa, probabilmente grazie alla genuinità dei dialoghi (spesso sottotitolati) con i quali rivivono su di sé ciò che recitano per la crudezza della tragedia medesima, fatta di tradimento, giochi di potere, violenza e morte. Un bianco e nero elegantissimo non lascia quasi mai le riprese e regala all’ opera ancora più solennità ed epicità storica. Alcuni dialoghi si rivelano molto forti ed emozionali insieme ad alcune inquadrature meste ed angosciose, come i primissimi piani di una scena nel mezzo del film, durante le prove , con cui i protagonisti, seguiti dalla scritta dei rispettivi reati e delle pene da scontare, fissando l’ obbiettivo, esprimono tutto il proprio dolore e la propria inquietudine interiore senza aprir bocca . Continua a leggere